COME AVVIARE I BAMBINI ALL’ATTIVITÀ SPORTIVA – parte 1

20131126-190618.jpg“Le cose da considerare quando si affida il proprio figlio ad un preparatore sportivo.!”

PRIMA PARTE

Una delle preoccupazioni più sentite dai genitori è quella di trovare lo sport più adatto per i propri figli.
Vorrebbero trovare uno Sport “completo” e la domanda che più spesso si rivolgono è: “quale è lo sport più completo?
Non esiste uno sport veramente completo in assoluto, in quanto ogni attività fisica, quando viene indirizzata verso una specializzazione, promuove nel praticante certe caratteristiche a discapito di altre.

Qualcuno crede che il nuoto sia uno sport “completo” ma è evidente che neppure il nuoto può esserlo: non interviene su importanti qualità quali l’abilità di coordinare il corpo rispetto allo spazio circostante, la propiocettività, la capacità di saltare, correre o lanciareoggetti e la capacità di socializzare e di lavorare insieme agli altri per un obiettivo comune.

Ma allora, quale sport scegliere e a quale età iniziare?

Per prima cosa occorre capire se la richiesta di svolgere un’attività fisica organizzata proviene dal bambino o dal genitore.

Spesso il bambino mostra semplicemente una decisa e naturale volontà di muoversi, mentre è del genitore il desiderio di iscriverlo ad un corso piuttosto che ad un altro, magari per motivi di comodità organizzativa nella gestione familiare.

La prima indicazione da dare è che il bambino si deve divertire a fare quello che fa. Iscriverlo ad un corso, magari prestigioso, dove però il piccolo allievo non si trova a suo agio, è sicuramente deleterio.

Visto che normalmente le scuole di avviamento sportivo accettano i piccoli dai 6 anni in su, prima di questa età si potranno praticare corsi di motricità di base dove i bimbi potranno giocare e muoversi scoprendo la magia del loro corpo.Tra i 6 e i 10 anni il bambino ha forti motivazioni allo sport. Quando si appassiona ad un’attività motoria, ovviamente sotto forma di gioco e di divertimento, manifesta un grosso impegno ed evidenzia la presenza di una motivazione concreta e dominante.
Probabilmente i fattori primari che agiscono da molla sono il GIOCO e l’AGONISMO.

In particolare non va sottovalutato l’agonismo, che traduce in realtà, a livello simbolico, bisogni della persona del tutto naturali, in questa età, collegati all’aggressività, all’autoaffermazione, all’interazione con la realtà. L’agonismo, dunque, essendo un fattore compensativo, equilibratore e liberatorio, se viene vissuto in un contesto organizzato, gestito da un istruttore preparato, e adeguatamente controllato, può funzionare da “decongestionante psichico“, favorendo la crescita psichica ed emotiva del bambino.

La pratica sportiva con manifestazioni agonistiche contribuisce quindi a lavorare sui bisogni e sulle ansie individuali del bimbo, favorendo anche il suo inserimento “sociale”.

Quando il bambino “sente” che il genitore desidera con forza che egli pratichi una certa attività e per non deluderlo, anche se quell’attività non lo appassiona, segue il desiderio dell’adulto.

Iscrivere un bambino ad un corso di avviamento allo sport, quindi, significa agire anche sul suo sviluppo psichico, oltre che su quello fisico.
La pratica sportiva prolungata, infatti, ha degli effetti sulla personalità, essendo dimostrato, ad esempio, che può agire su eventuali atteggiamenti ossessivi, di coartazione emotiva o su atteggiamenti istrionici.

La cosa importante è che sempre l’attività venga prospettata, sia da parte dei genitori che degli insegnanti come un qualcosa di divertente, che “è bello fare”, onde evitare la paura dell’insuccesso.
Mentre l’atleta adulto lavora e si allena in funzione del risultato, ciò non deve assolutamente avvenire per il bambino e per il giovanissimo.
Tra l’altro questo è sbagliato non solo evidentemente su un piano etico e sociale, ma anche funzionale e della specializzazione: un grande specialista di domani, infatti, deve oggi essere un bambino che si diverte a fare sport e che cresce equilibrato e ricco di esperienze motorie. Non ha ragione di essere, dunque, il timore di alcuni genitori che il proprio figlio non possa diventare un campione se non comincia a specializzarsi in tenera età.

È però importante che fin da piccolo acquisisca varie esperienze di movimento.
Anche lo stress agonistico deve essere assolutamente evitato: un atleta maturo deve avere una carica psicologica tale da farlo lottare fino alla fine, in gara, contro il suo avversario, anche se si tratta del suo migliore amico.

In un bambino, però questo significherebbe caricarlo della pressione di un intero ambiente affettivo: genitori, allenatore, compagni a cui egli tiene. L’ansia potrebbe essere maggiore del piacere della pratica sportiva.
Ecco perché la specializzazione va ritardata il più possibile.

 

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